Ci sono quelli che la tv è meglio del cinema, e quelli che il piccolo schermo non sarà mai come una sala con dolby surround. Quelli che hanno smesso di guardare film perché guardano troppe serie e quelli che usano ancora l’aggettivo “televisivo” come segno di disprezzo. Quelli che le serie sono il futuro e il cinema è morto, e quelli che restano scettici pure davanti a Mad Men. Ma grande e piccolo schermo sono legati a doppio filo, non solo perché sempre di audiovisivo si tratta, ma perché storie, registi e attori ormai migrano dall’uno all’altro come in un unico grande flusso. In questa nuova rubrica, gli amici di Mediacritica.it ci raccontano i film che fanno da punto di contatto: quelli da cui sono state tratte delle grandi serie e quelli che invece dalle serie sono nati. Oggi parliamo di Miami Vice, quindi iniziate ad arrotolare le maniche della camicia e tirate fuori i Ray-Ban.
DALLA SERIE AL FILM
LA SERIE. C’erano molte cose che non capivo da piccola, quando guardavo la Tv dei grandi, i film e i telefilm in striscia preserale. Tra queste, l’opportunità di fare gli agenti antidroga sotto copertura alla guida di una riconoscibilissima Ferrari Testarossa. Oggi continuo a non capire molte cose (in particolare, le macchine), ma sono riuscita a comprendere che, per gli agenti Sonny (Don Johnson) e Rico (Philip Michael Thomas), stare al volante dell’auto più ambita degli anni ’80 è la copertura. Wikipedia dice che il concept di Miami Vice stava tutto in due parole – “Mtv cops” – scritte da un executive della Nbc e consegnate al creatore della serie Anthony Yerkovich (uno che veniva da Hill Street Blues e che quindi aveva già fatto la sua parte nella storia della serialità). Ci viene difficile crederlo, nel 2013, ma i vestiti coloratissimi e le capigliature foltissime sfoggiati dai personaggi di Miami Vice nel 1984, anno di inizio della serie, erano il massimo del glamour. E lo show, che per tanti aspetti sembra ricalcare il solito procedurale con la coppia di buddy cops opposti (razionale Rico, testa calda Sonny) ma inseparabili, è stato davvero rivoluzionario. Per dire: è uno dei primi prodotti seriali a godere di musiche originali scritte appositamente per ogni episodio, e, in generale, a poter contare su un budget produttivo considerevole. È stato forse il primo telefilm ad essere costruito più sull’atmosfera, la messa in scena, la costruzione di un universo unico e inconfondibile, che sulle trame ripetitive e stantie. E in breve tempo, si è fatto fenomeno di costume, identificandosi con l’immaginario sfavillante degli anni ’80, edonisti, goderecci, eclatanti ed assolati. Il produttore esecutivo di Miami Vice, però, era un certo Micheal Mann e aveva un’anima noir difficilmente sopprimibile.
IL FILM. Tra la conclusione di Miami Vice, avvenuta nel 1990 dopo un drastico calo di ascolti, e l’uscita nelle sale di un film a lei ispirato passano 16 anni. Nel frattempo, Michael Mann ha fatto, tra le altre cose, Manhunter, L’ultimo dei Mohicani, Heat, Alì e Collateral; insomma, roba grossa. Si dice, però, che l’autore amasse moltissimo Miami Vice, al punto da esercitare un controllo maniacale su ogni particolare di ogni puntata (tipo: i completi Armani e Versace indossati da Sonny e Rico dovevano essere in tono con l’ambiente in cui i due si trovavano), e quando Jamie Foxx (già coprotagonista di Collateral) gli suggerisce l’idea di farne un film, si mette al lavoro con entusiasmo. I ruoli principali vengono affidati a Colin Farell e allo stesso Foxx, e al cast si aggiunge una splendida Gong Li, nel ruolo dell’amante/consulente finanziaria di un terribile boss della droga dall’iconico nome di Arcangel de Jesus Montoya. La trama è intricata, prevede ovviamente una pericolosa missione sotto copertura e si svolge tra la Florida, il Sudamerica e i Caraibi. Quel che ne esce è qualcosa che fa finta di essere un blockbusterone action, pure un po’ tamarro, ma che, sotto copertura, lavora come un noir malinconico, o un melodramma struggente.
MIAMI VICE (IL FILM). And… action. Mann spalanca la sua macchina da presa nel cuore dell’azione, senza titoli di testa ci scaraventa nel calore sudaticcio di una discoteca di Miami (echeggiando la riuscitissima sequenza nel club di Collateral), poi sul più bello, appena stiamo cominciando ad orientarci, ci trascina via, in un inseguimento sulle highway della Florida, incollati a quell’iconica Ferrari che per il resto del film non rivedremo più. Nessuna traccia del colore, del calore e della leggerezza degli Eighties: Sonny e Rico sono sbirri degli anni Zero, ipertecnologici e costantemente ingrugniti, tesi, incazzati. E Miami è notturna e un po’ marcia, con l’immondizia che si accatasta ai bordi di strade e inquadrature, sospesa sull’orlo di un uragano, come denunciano le nuvole pesanti e i lampi elettrici sullo sfondo di pareti a vetro. Allo stesso modo, Miami Vice è un film tesissimo e allo stesso tempo spiazzante, disegnato da Mann con ipperrealismo digitale. Cambia direzione, sterzando come le auto sulla freeway, e quando meno te lo aspetti rallenta dentro pause molli e avvolgenti, ti porta a prendere un mojito a Cuba, a fare due passi di salsa. I protagonisti dei procedurali e i poliziotti hanno in comune un’altra cosa, oltre al fatto che spesso i protagonisti dei procedurali sono poliziotti: non si finisce mai. Per quanti criminali tu possa sbattere in galera (o far fuori tra i conteiner del porto di Miami), domani ci sarà un nuovo cattivo da rincorrere, un nuovo episodio da concludere. Se sei uno sbirro sotto copertura, poi, la schizofrenia è stile di vita: «domani facciamo gli arresti, e tutte le identità false che abbiamo costruito spariranno in un batter di ciglia» ricorda Rico a Sonny, che nel frattempo si è innamorato davvero («I’m not playin’») della dolente e sinuosa Isabella. «Who are you?» urla Gong Li tra le lacrime, alla fine: non lo sanno bene neanche Sonny e Rico chi sono, ugualmente imbattibili come agenti e come criminali, ma cercano di ridefinirsi un’autenticità attraverso l’affetto (Sonny con Isabella, Rico con Trudy) e la lealtà reciproca («I’ll never doubt you»). Sognano vie di fuga, immagino ipotesi irrealizzabili di un futuro negato, ma il cuore del noir (lo stesso del mélo) è un Destino avverso che imprigiona.
EXTRA
- La colonna sonora della serie Tv, oltre a contenere i notissimi temi al sintetizzatore di Jan Hammer, ha introdotto e potenziato l’ultilizzo di hit musicali, al punto che le case discografiche facevano a gara per inserire nello show canzoni da promuovere (il caso più famoso è In the Air Tonight di Phil Collins). Inoltre, moltissime star della musica hanno fatto comparsate nella serie: tra gli altri, Miles Davis, Frank Zappa, Leonard Cohen e lo stesso Phil Collins.
- Anche la soundtrack del film costituisce un’ottima playlist: sorvolando sui Linkin Park (che la sottoscritta detesta), ci sono Moby, i Mogwai, i Goldfrapp e Nina Simone.
- Per il ruolo di Sonny Crockett nella serie sono stati presi in considerazione Nick Nolte, Mickey Rourke, Jeff Bridges e Larry Wilcox dei Chips. Alla fine è stato scelto Don Johnson, allora poco conosciuto, che poi avrebbe avuto anche un procedural tutto suo, Nash Bridges. Negli ultimi anni, Johnson ha fatto due camei indimenticabili in Machete e in Django Unchained (dove, ovviamente, incontra il Rico del film, Jamie Foxx).
- Per Miami Vice. La serie, tra i cui protagonisti figurava anche il Comandante della Galactica Edward James Olmos e Pam “Jackie Brown” Grier, sono passati un sacco di futuri attori famosi: per esempio Laurence Fishburne, Viggo Mortensen, Bruce Willis, Stanley Tucci, Julia Roberts, Liam Neeson, Terry O’Quinn e Melanie Griffith, all’epoca moglie di Don Johnson. Nel cast del film, ci sono anche Ciaran Hinds, Naomie Harris (che l’anno scorso è diventata Miss Money Penny in OO7 Skyfall) e John Hawkes.
- Per quelli tra voi che capiscono qualcosa di automobili, c’è tutta la divertente storia per cui le Ferrari Testarossa e Daytona usate nelle prime stagioni della serie non erano delle vere Ferrari, ma delle Chevrolet modificate. Enzo Ferrari all’inizio se la prese un po’, poi fece buon viso a cattivo gioco (e due conti in tasca) e regalò due Testarossa fiammanti per le riprese.
- All’uscita del film, molti fan della serie (e anche molti critici cinematografici) lamentarono l’enorme differenza tra lo show (che tutti ricordano leggero e pieno di scambi ironici) e il film, più cupo e apparentemente freddo. In realtà, il film condivide con l’episodio Smuggler’s Blues la sottotrama di Trudy presa in ostaggio e imbottita d’esplosivo. Inoltre, sotto la scorza lucente e modaiola degli anni ’80 reaganiani, anche la serie conservava un velo di cinismo, intensificatosi con il proseguire delle stagioni ed esplicitato, paradossalmente, dalla scelta dell’ambientazione. Miami, crocevia di etnie e traffici loschi, nasconde il marcio della corruzione, della criminalità e anche della povertà. E la sensazione incombente, per Sonny e Rico, di stare combattendo una guerra senza fine, è presente pure nella serie.
- Ci viene automatico pensare Miami Vice e identificare la serie come la rappresentazione emblematica di un certo periodo storico, soprattutto dal punto di vista estetico. In realtà il cortocircuito tra realtà e finzione è più contorto e si è autoalimentato nel tempo: basti pensare che un certo tipo di moda (la maglietta sotto la giacca Armani, i mocassini senza calze, i Ray-Ban, le auto di lusso) è stato promosso e diffuso in principio proprio dalla serie, garantendo successo a certi brand e al relativo stile.
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